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TUGLIE: alla ricerca delle origini. Carta Archeologica di un paese del Sud Salento

Progetto CUIS

PREMESSA

Lo scopo del progetto è stato la realizzazione della carta archeologica dell'intero territorio comunale, in precedenza interessato solo da sporadiche indagini di superficie, al fine di arricchire il dato delle fonti letterarie, relative alle origini del centro salentino, con le fonti archeologiche sino ad ora sporadicamente esaminate con la finalità di conoscere, ricostruire e valorizzare il patrimonio archeologico e culturale del territorio tugliese. Il lavoro di ricerca sul territorio di Tuglie è stato condotto cercando di coniugare la teoria dei procedimenti propri della ricerca topografica con i prodotti delle nuove tecnologie cercando, in questo modo, di creare un lavoro di alto spessore scientifico ma nello stesso tempo permettere una più rapida ed intuitiva lettura dei dati.

PRESENTAZIONE DEI LUOGHI

Il comune di Tuglie, in provincia di Lecce, è posto circa 10 km ad Est di Gallipoli; il suo territorio ha una superficie di 8,5 km² e una forma a stella con quattro punte riportata nel Foglio 214 (III quadrante) della Carta d'Italia redatta dall'IGM in scala 1: 25.000. A livello altimetrico il territorio comunale passa dai 57 metri s.l.m. registrati a Sud Est di Masseria Carignani a 140 metri s.l.m. registrati in zona Cegliese, a Nord dell'abitato. Il centro abitato (ricadente interamente nel Foglio 214, III quadrante, tavoletta SE) ha una forma stretta e allungata che indica chiaramente quali sono state le probabili cause e modalità di nascita e sviluppo di questo piccolo centro sorto lungo una antica via di comunicazione che percorre il tacco della penisola in senso NO-SE e che corre alla base della Serra Salentina posta nell'entroterra ad est di Gallipoli. La forma stretta e allungata che caratterizzava il piccolo centro soprattutto sino al periodo del dopoguerra (escludendo quindi gli ampliamenti verificatisi in seguito al boom economico del dopoguerra sia nella parte a monte della collina in zona Montegrappa e sia nella parte a valle in zona Mazzucchi e Termiti) permette, infatti, di inserire Tuglie tra le cosiddette "città lineari" ossia tra quegli agglomerati che nascono dalla costruzione di case, tra loro affiancate, lungo una via di comunicazione e nel caso specifico lungo la strada che già a partire dal 1500 conduceva da Parabita a Galatone e poi a Nardò.

I DATI ARCHEOLOGICI

Sulla base delle indagini di superficie attraverso la ricognizione diretta del terreno, compiute tra il 2019 e il 2021, che sono state poi interpolate con la documentazione storica e di archivio, è possibile affermare che nel territorio comunale tugliese, considerando anche le diverse testimonianze archeologiche rinvenute in fascia di rispetto extraurbana afferente a i comuni limitrofi, sono definibili cinque fasi cronologiche, ossia una fase preistorica/protostorica, una fase arcaica/ellenistica, una fase di età romana, una fase di età medievale e una fase afferente al post medioevo e all' età moderna.

FASE 1 - PREISTORIA/PROTOSTORIA

fase 1 carta archeologica di tuglie

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In questa fase è possibile classificare solo 6 evidenze (S1-S7-S11-S14-S37-S38), alcune delle quali composte da industria litica preistorica come schegge e lame in selce, riferibili a labili tracce insediative che, fino ad ora descrivono una frequentazione sporadica del territorio che tende a concentrarsi soprattutto nella zona delle serra parabitana con i due siti più importanti come la grotta delle Veneri e il villaggio capannicolo di epoca protostorica.

FASE 2 - ETÀ ARCAICA/ELLENISTICA

fase 2 carta archeologica di tuglie

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La determinazione di questa fase è data dall’identificazione di 5 evidenze, tutte afferenti a elementi sporadici di frammenti di ceramica a vernice nera genericamente collocati tra IV e III sec. a.C. Queste concentrazioni di materiale, se associate al materiale presente nelle fasce di rispetto al di là del confine comunale, farebbero ipotizzare una possibile frequentazione dell’area avvenuta all’interno di una vasta area tra i due comuni, Parabita e Tuglie, identificata con i toponimi Bavota, Corte e Casale. Al materiale rivenuto vanno associate alcune segnalazioni note da bibliografia come quella di Cosimo de Giorgi che, nel 1888, riporta la presenza, proprio in contrada Corte, ad un paio di chilometri di distanza da Tuglie, la presenza di ruderi di “antichi edifizi”, e tombe che avrebbero restituito “vasi di terra cotta rustici e figurati”. Oronzo Caggiula, nel 1938, riporta la notizia di Giovanni Barrella circa la presenza di iscrizioni messapiche e di “vasi” e “altri cimelii” nell’area dell’attuale Masseria Carignani. A queste segnalazioni di resti di cultura materiale - benché non più verificabili - vanno associati sia un rinvenimento di un tesoretto di 180 monete magnogreche risalente al terzo quarto del III secolo a.C. avvenuto nel 1848 in località “Casale”, che il rinvenimento, riportato genericamente nel territorio di Tuglie, di cinque monete d’argento, anch’esse di zecche magnogreche, datate tra il VI e il III sec. a.C. Nella letteratura ottocentesca e del primo Novecento spesso queste tracce insediative soso state lette come resti o rimandi a un fantomatico centro di nome Bavota (da cui il nome della località omonima) derivante da un’errata lettura delle fonti tolemaiche (Geografia, III, 1, 67).

FASE 3 - ETÀ ROMANA

fase 3 carta archeologica di tuglie

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Gli elementi archeologici più macroscopici afferenti all' Età Romana corrispondono ai resti di divisione agraria nota come centuriazione. Questi resti, che si configurano come dei limites inclinati 36°50', si identificano in tre punti del territorio comunale, nell'area a Nord Est, di cui due tratti grossomodo in corrispondenza delle attuali vie Corso Cesare Vergine e la Strada Provinciale Neviano-Tuglie, e un tratto nell'area urbana (completamente edificata) a Sud Ovest della ferrovia, in contrada Aragona; questi tratti vanno associati ad altri resti centuriali ricadenti nei comuni limitrofi come quello posto in corrispondenza di via Contrada Masseria Nuova a Parabita e quello posto a Ovest del centro urbano di Collepasso. Oltre ai resti centuriali, a valle del centro urbano, nel fondo denominato Conche, corrispondente alle evidenze S4-S5-S7-S8, sulla base della abbondante concentrazione del materiale ceramico rinvenuto, è possibile ipotizzare la frequentazione di un vasto insediamento rurale la cui occupazione sembra andare dalla prima età imperiale alle fasi tardoantiche di IV-VI secolo d.C. e che doveva estendersi anche nei territori attigui ricadenti attualmente nel Comune di Parabita.

FASE 4 - MEDIOEVO

fase 4 carta archeologica di tuglie

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Le evidenze relative alla fase medievale sono tra quelle che, finora, appaiono più diversificate in quanto parrebbero collocabili a più di un'interfase. Al Medioevo, complessivamente sono state assegnate 13 evidenze (S1-S2-S5-S6-S7-S8-S14-S18-S19-S22-S23-S25-S33) nelle e quali è stato possibile riconoscere una periodizzazione altomedievale (con alcuni e labili elementi bizantini) e una bassomedievale. Alcune delle evidenze medievali come il nucleo originario dell'antico centro storico (S19) trovano una corrispondenza anche con le fonti d'archivio a partire dal XIII secolo. Parte di questo nucleo insediativo originario è costituito da ciò che resta di un insediamento rupestre, le c.d. "crutte Passaturi" (S19), attualmente ricadenti nelle è di proprietà del Museo della Civiltà Contadina. Questo insediamento è composto da 8 unità + 1 casa-grotta, per le quali si può riconoscere un uso basso/post medievale, anche se non si esclude una probabile frequentazione più antica di tutta l'area nell'alto medioevo dato il rinvenimento monetale di un follis bizantino di Costantino VII e Zoe di X secolo nei pressi della grotta 1. Altre tracce, in loco, di frequentazione per i secoli centrali del Medioevo sono date, da ulteriori rinvenimenti monetali (collocabili grossomodo tra XII e XVI secolo) e verosimilmente, da un frammento di ceramica dipinta decorata a bande, appartenente ad una parete e probabilmente databile al XIII secolo.

FASE 5 - POST-MEDIOEVO/ETÀ MODERNA

fase 5 carta archeologica di tuglie

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Il Post Medioevo e l'Età Moderna sono i periodi più rappresentativi, ad essi fanno parte 26 evidenze e in molte di esse il materiale ceramico è stato ritrovato omogeneamente mischiato (senza soluzione di continuità) a quello delle fasi precedenti. Le testimonianze (S1-S2-S3-S5-S7-S8-S9-S10-S14- S18-S19-S20-S22-S23-S24-S25-S26-S27-S28-S29-S31-S33-S34-S37-S38-S40), si collocano in un range cronologico identificabile tra XVI e XVIII/XIX secolo. Gli elementi topograficamente rilevanti appartenenti a questa fase sono diversi e scandiscono lo sviluppo di Tuglie e il passaggio da casale, a feudo rustico, fino alla istituzione del Comune. Gli elementi identificati sul territorio, uniti ai documenti d'archivio, hanno permesso di stabilire e in alcuni casi confermare, che l'area dell'antico casale medievale continua a essere abitata, probabilmente, da poche, famiglie, almeno fino a tutto il Seicento. In questo specifico periodo il casale, nelle fonti, spesso viene indicato come "feudo rustico", ossia inabitato e ciò indurrebbe a pensare a delle fasi di frequentazione alterna della popolazione sul territorio. Tra Cinquecento e Seicento gli elementi rilevanti sono costituiti soprattutto da due impianti masserizi: Masseria Carignani (S2) e Masseria Aragona (S10). A questa fase cronologica sono riferibili tredici frantoi ipogei, sparsi al di sotto del centro urbano e molti collocati lungo quella che viene considerata un'antica arteria stradale che metteva in comunicazione Tuglie con i centri vicini di Parabita e Sannicola lungo una direttrice che attualmente comprenderebbe grossomodo le vie Vittorio Veneto, Plebiscito, XXIV Maggio, Aldo Moro e Trieste. Di questi frantoi ipogei, che hanno caratterizzato la produzione dell'olio, soprattutto lampante, dal XVII al XIX secolo, quasi tutti oramai si trovano inglobati in attuali abitazioni e ridotti ormai a cantine. Solo due sono pienamente fruibili, ossia il frantoio Ipogeo di via Trieste del XVIII secolo sede del Museo dell'Ulivo e il frantoio ipogeo "Ex Marulli", di via Vittorio Veneto, risalente al XVII secolo, sede del Museo della Radio.

I MONOLITI

localizzazione monoliti carta archeologica di tuglie

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La ricognizione ha messo in evidenza 12 evidenze rientranti nella categoria "Monoliti" (S12-S13- S15-S16-S17-S41-S42-S43-S44-S45-S46-S47); tra questi rientrano blocchi sbozzati di grandi dimensioni, pietrfitte e possibili menhir. Nonostante la bibliografia esistente classifichi, senza giustificazione, gran parte di questi monoliti come menhir, dall' analisi è emerso che alcuni dei monoliti rientranti nella categoria pietrfitte sono interpretabili come finite spartifeudo (S12-S13- S15); solo 3 possono essere interpretabili come possibili menhir (S16-S43-S46). Di difficile interpretazione restano i monoliti rinvenuti in seconda giacitura. Per tutti i monoliti rilevati, sia per quelli identificati in loco che per quelli noti da bibliografia, non è stato possibile stabilirne la cronologia a causa dell'assenza di elementi e di contesti datanti.

DOCUMENTI D'ARCHIVIO

Le fonti archivistiche relative al centro abitato di Tuglie coprono, anche se in maniera discontinua, un arco cronologico che va dal 1200 agli inizi del 1900 e sono conservate in diversi Archivi statali ed ecclesiastici d'Italia. In questa fase sono state consultate direttamente le fonti conservate presso l'Archivio di Stato di Lecce; le altre, spesso più antiche, sono state analizzate attraverso i contributi pubblicati da alcuni storici e archivisti locali, tra cui T. M. Gnoni ed E. Pagliara. I documenti più antichi sono conservati presso la Cancelleria Angioina dell'Archivio di Napoli e si riferiscono ad alcuni avvenimenti che si verificarono a Tuglie tra il 1270 e il 1271 quando il re Carlo I d'Angiò, da poco salito al Trono di Napoli (1266) assegna il "casali Tullii" al miles Almerico di Montedragone, suo fedele ufficiale. Sempre al XIII secolo si riferiscono alcuni documenti conservati presso l'Archivio di Stato di Lecce nella sezione Archivio segreto di Puglia e riportano alcuni accadimenti che caratterizzano i primi anni di vita del casale durante il governo di Almerico di Montedragone, quindi al 1280. Al 1373 risale il documento ecclesiastico più antico sinora conosciuto contenuto in Rationes decimarum Italiae, una collana pubblicata dalla Biblioteca apostolica vaticana contenente migliaia di informazioni sulle decime versate nel XIII e XIV secolo in Italia e diviso per regioni, in cui viene riportato il toponimo Tulle (Tuglie). Più precisamente Tuglie (Tulle), insieme ad Aradeo e Fulcignano, è riportato nella persona del "Prothopapa (cioè l'arciprete nella chiesa greco-ortodossa) et clero Fortuniani Aradei et Tulle" quale tributario della decima. Da tale documento si capisce che Tuglie, assieme a Galatone, Seclì, Aradeo, Neviano e Fulcignano, praticava il rito bizantino mentre Parabita, Matino e Casarano praticavano il rito latino. Al 1412 risale la Relatio de statu veteri et recenti neritinae ecclesiae ad Johannem XXIII Ponteficem Maximum. In questo documento Tuglie viene riportato non più come casale ma come "feudo rustico", ossia come piccolo centro disabitato. Al maggio 1452 risale il più antico documento d'archivio della Tuglie di rito latino. Nella relazione scritta in occasione di una visita pastorale a Parabita, il vescovo di Nardò, Mons. Ludovico de Pennis, parlando delle chiese e cappelle intra moenia ed extra moenia della "Terra di Parabita" parla di due chiese, o meglio chiese rurali, nel piccolo agglomerato di casupole e grotte denominato "Casale Tullie": l'Ecclesia Sancte Marie Nunciate (posta al limite tra il territorio del piccolo feudo di Tuglie, e il territorio di Parabita e di Gallipoli) e l'Ecclesia Sancte Marie in Casale Tuglie (posta all'interno del piccolo casale) posta lungo la strada che dal limite del territorio di Parabita (attuale zona Masseria Vecchia) portava a quello del territorio di Gallipoli (attuale Masseria Aragona). Il piccolo centro di Tuglie viene nominato più volte nei documenti ecclesiastici del 1500; in uno di questi, precisamente nella bolla vescovile dell'aprile del 1593, si fa riferimento alla nomina di "arciprete rurale della Chiesa dedicata all'Annunciazione della beata vergine Maria del feudo inabitato di Tuglie Don Martino Abbaterrico". Per feudo inabitato non si intende feudo disabitato - in quel caso si usava l'espressione fondo rustico- ma probabilmente un feudo abitato stabilmente e in modo sparso dai pochi braccianti e coloni a servizio dei padroni che abitavano in altro luogo. A questo documento ne seguono molti altri utili a ricostruire le storia della parrocchia e della sua Chiesa Matrice, ma è con l'apprezzo del 1695 che si hanno nuove informazioni sul piccolo casale che nel frattempo ha visto ridursi notevolmente la sua popolazione e inselvatichirsi i campi a causa di secoli di sfruttamento da parte dei proprietari che lo hanno usato come merce di scambio e luogo di rendita senza mai occuparsi di un suo possibile sviluppo. In questo documento Tuglie viene definito "feudo inabitato" (in altri punti "feudo rustico") "sito nelle pertinenze della città di Gallipoli" caratterizzato da un territorio poco antropizzato e in gran parte incolto. Il documento descrive minuziosamente i beni baronali, i beni "dei possessori soggetti a decima" e l'intero territorio del piccolo feudo che già allora risulta utilizzato per la coltura di ulivi, ortaggi, vigne e alberi da frutto soprattutto per quanto riguarda i terreni a valle; mentre una buona parte dei terreni posti in altura, i quanto pietrosi, sono tenuti a macchia e destinati al pascolo, all'estrazione della pietra o alla produzione della calce. Dall'Apprezzo si evince che alla fine del Seicento non esiste ancora nessun edificio sacro nel "largo grande" (l'attuale Piazza Garibaldi); si accenna solo ad una cappella, all'interno dei possedimenti del barone, coperta "a lamia" (con i mattoni) dove si conserva una tela dell'Annunziata (c. 3r.). Viene invece descritto il frantoio ipogeo che si trovava nella zona antistante il palazzo baronale che, agli inizi del '900, è stato distrutto per realizzare l'attuale Piazza Garibaldi (c. 4r.). Oltre a questo si accenna anche ad un altro frantoio ipogeo, posto all'uscita del feudo "quando si va a Parabita ..." chiamato lo trappeto delli Romanelli" situato nel terreno di Giovanni Benedetto Mazzuci di Gallipoli (c. 6r.). Di poco più recente è il Catasto Antico del 1738 conservato presso l'Archivio di Stato di Lecce e costituito da una documentazione eterogenea in cui vengono elencati i possedimenti dei vari proprietari, sia che siano duchi o marchesi sia che siano semplici "citadini". Questi ultimi spesso sono possessori di un piccolo giardino "avanti la sua crotta"; questo permette di ipotizzare una continuità d'uso delle case-grotta delle zone Case Vecchie e Passaturi (S19) almeno sino alla metà del' 700. Sempre presso l'Archivio di Stato di Lecce è conservato il Catasto Onciario del 1749, un documento composto in cui sono elencati gli abitanti e i possessori non abitanti sia laici che ecclesiastici; per ogni nucleo famigliare (fuoco) ne elenca i componenti, l'età, il sesso e il mestiere. Da vari atti e carteggi si evince come nella prima metà del '700 si registra un notevole incremento demografico legato al miglioramento delle condizioni di vita voluto proprio dalla Marchesa Antonia Prato e dai suoi eredi e questo lo si legge benissimo tra le righe del nuovo catasto; gli abitanti passano infatti da qualche decina agli inizi del 1700 a 473 nel 1749 e le abitazioni costruite in conci di tufo si sostituiscono ovunque alle case- grotta. Infatti, nel catasto del 1749 si censiscono ben 94 case con orticello o giardinetto "attaccato" mentre solo in un caso si parla di un abitante che "abita in una casa con giardino in una grotta, e non possiede cosa nessuna vivendo con la propria fatica".

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Responsabile scientifico:
Prof.ssa Giovanna Cera - Unisalento.

Coordinamento delle attività di ricognizione archeologica 2019:
Dott.ssa Ilaria Malorgio - archeologa.

Coordinamento delle attività di ricognizione archeologica 2021:
Dott.ssa Giovanna Maggiulli - archeologa.

Redattore dati e tecnico della modellazione 3D:
Dott. Stefano Calò - archeologo.

Tecnico Web-Gis:
Dott. Corrado Pino - archeologo.

Componenti della squadra di ricognizione archeologica di superficie:
Dott. ssa Nicoletta Perrone - archeologa;
Dott. Alessio Stefàno - archeologo;
Sig. Emanuele Toma - studente di archeologia Unisalento.

Modellazioni 3d: https://sketchfab.com/ARCHEO-TUGLIE-3D

contatti: giovanna.cera@unisalento.it | calostefano@hotmail.it | giovannamaggiulli@gmail.com